UN CERTAIN REGARD - When Autumn Comes di Christopher Jacobs

 


Inauguriamo oggi una nuova rubrica parlando di quello che la giuria del Sipontum Arthouse International Film Festival ha definito un gioiellino; When Autumn Comes di Christopher Jacobs.

La pellicola si è giocata fino all'ultimo le sue ottime chances di diventare film dell'anno 2023 al festival, premio che è andato a Little Yellow Flower il quale ha superato tutti gli altri per il rotto della cuffia. Resta per i giudici del Sipontum Arthouse International Film Festival una annata ricca di soddisfazioni e di piccoli e grandi capolavori, non soltanto, ovviamente, la cinquina dei film dell'anno.

 

Christopher Jacobs è un autore Anglo-Filippino che, per sua stessa ammissione, è un "discepolo" di Ozu e Bresson; già in questa dichiarazione risiedono le coordinate essenziali per avvicinarsi al suo cinema, una filiazione che non si concretizza con una citazione manierista, ma assume valenze ben più ampie e tocca l'aspetto esistenziale (dell'essere umano ma anche del fare cinema).

 

Il film narra le vicende di Maria, una studentessa Filippina che aspira a diventare una scrittrice e poetessa e per questo motivo si trova in inghilerra, ospite dei suoi zii che gestiscono un piccolo ristorante, per studiare all'università. Maria ha un'amica del cuore, Ana, anche lei di origine orientale, ed entrambe seguono il corso tenuto da un giovane docente (Apollo). Ma a un certo punto il mondo intorno a Maria comincia a cambiare faccia, letteralmente, e lei sembra l'unica che se ne renda conto.

Questa trama minimal è il pretesto per indagare l'identità dell'essere umano, le sue aspettative le sue debolezze, la sua collocazione gps all'interno della galassia sociale moderna. Dice Snaut in Solaris di Andrej Tarkovskij << Non abbiamo bisogno di altri mondi: abbiamo bisogno di uno specchio>>. Ed è questo specchio (deformante?) che è il soggetto fuoricampo con cui la protagonista si confronta di continuo, almeno da un certo punto in poi.


Non sveliamo troppo della trama per non rovinare il gusto della visione, ma possiamo dire che al carattere romantico di questa opera (e in parte della vicenda) si abbina una certa ansia, una tensione indefinibile  che aleggia continuamente sulla pellicola senza palesarsi mai in una forma da cinema di genere.



All'interno di una quotidianità serena, piccole discordanze, piccole effrazioni alla normalità, si affacciano di continuo nel profilmico rendendo la protagonista dubbiosa, a tratti dissociata dal mondo circostante.


 

Il film getta continuamente ponti (metaforicamente e letteralmente) con altri film che appartengono alla storia del cinema e alla galassia del cinema indipendente e d'autore; e così che la passeggiata sul ponte di Maria e Apollo per stile e dialogo non può non riportare alla mente dello spettatore quella di Ethan Hawke e July Delphy in Before Sunrise di Richard Linklater.


Da Yasujiro Ozu, Jacobs mutua la scelta dei piani di ripresa, ad altezza di ginocchio e con una prospettiva che va in profondità nei luoghi intimi della protagonista. Si tratta di una scelta stilisticamente inusuale e bellissima come giustissima ci pare l'opzione del formato 4:3 che offre centralità alla psicologia e all'identità dei personaggi.


Ma ci sono altri riferimenti magari involontari, che possono impreziosire la visione di questa pellicola; se qualcuno ha visto Time di Kim Ki-Duk, ad esempio, certamente si divertirà di più a meditare sulla "crisi di identità" che il film mette in scena.

 

La regia di Jacobs appare consapevole e precisa anche nell'utilizzo di inquadrature "sbagliate", quelle inquadrature compositivamente prive di una precisione fotografica ma incredibilmente funzionali alla trama perché, lo spettatore, tende a spingere con gli occhi i bordi dell'inquadratura nella speranza di guardare cosa c'è fuori campo, cose che si intravedono ma che si vorrebbero vedere meglio (come lo sguardo del professore nella sequenza qui in alto). A questo sforzo di visione concorre anche la scelta rigorosa dei fuochi, di cosa tenere a fuoco e cosa no ed è così che noi spettatori aspettiamo di vedere la protagonista arrivare alla "giusta distanza" dalla macchina da presa per cercare di "vedere" meglio cosa sta pensando.


Ma c'è un film con cui When Autumn Comes intrattiene una parentela strettissima e sorprendente; si tratta di What Do We See When We Look At the Sky? del georgiano Alexandre Koberidze. A nostro avviso la parentela è così stretta (stilisticamente e tematicamente) che questi due film andrebbero proiettati insieme, sono due gemelli separati alla nascita, ognuno con le proprie peculiarità.


In ultimo constatiamo un certo gusto pittorico che pervade l'intera pellicola; alcune sequenze, per atmosfera prima ancora che per taglio dell'inquadratura, ricordano alcuni dipinti di Edward Hopper (come Morning Sun in questo caso).

Da segnalare anche le interpretazioni di un manipolo di attori bravissimi, specialmente Julia Saubier che interpreta Maria, Peter Jeffries che interpreta Apollo e le due interpreti del personaggio di Ana (Naomi Rose Pfyl e Katt Roberts).

Jacobs è già un autore; ha le idee chiare uno stile limpido ed essenziale (e aggiungiamo, riconoscibile anche se non invadente) e un percorso che, viste le premesse può solo arricchirsi di altre interessantissime meditazioni essenziali, per noi, sulla natura dell'essere umano e sulla sua collocazione sociale. A noi non resta che fare a lui e tutto l'ottimo cast artistico e tecnico di questo film, i nostri più sentiti complimenti e invitare il pubblico a vedere When Autumn Comes.


 

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