NUOVI MONDI - 12 And More Omissions di Jordan Lisi

 

Questo lavoro di Jordan Lisi ci riconcilia con la natura stessa del nostro festival; il Sipontum Arthouse International Film Festival è nato con lo scopo di dare voce al vero cinema Arthouse ed è sempre un piacere scoprire quanto questo tipo di cinema sia vivo, vibrante e diffuso in tutto il mondo; 12 And More Omissions racchiude quelli che sono, a nostro avviso, i pregi di una produzione low budget con molte idee e qualità: vediamo quali sono i punti fondamentali.

 

La regia di Jordan Lisi è ambiziosa e tuttavia non si lascia irretire nel desiderio di strafare e di specchiarsi; ne viene fuori un'opera compiuta diretta con maturità e un certo grado di originalità (pur all'interno di un contenitore ben definito, il mumblecore che però tende ad essere soltanto un punto di partenza per tracciare le coordinate di visione). Il desiderio principale del regista sembra subito quello di cercare un canale comunicativo proficuo con lo spettatore; l'esigenza comunicativa prevale sull'autocompiacimento e questo a tutto vantaggio del film.

 

Questo discorso ci porta al secondo punto che coinvolge anche la sceneggiatura e l'interpretazione degli attori (tutti molto bravi) e che ci consente di fare un po' di chiarezza tra due concetti che si confondono; universalismo e universalità. L'universalismo nel cinema è quella tendenza fastidiosa che cerca di appiattire tutto nel nome di una inclinazione/dottrina/pretesa che vuole portare avanti delle storie a caratteri neutro che possano essere ambientate tanto in una grossa metropoli americana quanto in un bosco norvegese o in un villaggio della steppa kazaka, il risultato non cambia e quindi il pubblico è felice (o dovrebbe esserlo). Per fare ciò ci si affida alle storie fondamentali che sono sempre quelle da Aristotele in poi e si saccheggia a mani basse il Viaggio dell'eroe di Chris Vogler e tutti quei manuali di regia e sceneggiatura, utilizzando i concetti appresi come fossero formule matematiche per un sicuro successo. Ne vengono fuori lavori talvolta ben fatti ma piuttosto anemici e privi di calorie, proteine e vitamine necessarie all'anima dello spettatore per non lasciarlo con la sensazione di aver gettato alcune ore della sua vita (perché è meglio un film brutto che inutile).

 

Per universalità, invece, intendiamo quella capacità insita nei film (e quindi nella regia, nella sceneggiatura e nell'interpretazione) di rendersi riconoscibili e aperti nella pluralità e contraddizione dell'essenza umana; un film con caratteri di univeralità riesce ad essere "compreso" ai quattro angoli del globo eppure conserva una sua connotazione territoriale ben precisa che non pretende di farsi universale e diventare archetipo delle cose del mondo e dell'uomo. 

Quando vediamo un film di Jordan Lisi entriamo subito nel mood umano portato avanti dalla narrazione e non facciamo difficoltà a comprenderlo; ma quello che vediamo è l'America profonda; quella storia, quei volti, quel modo, non pretendono di essere validi anche per l'Algeria, ad esempio. (Allo stesso modo, se pensi a Sorrentino pensi a Napoli, se pensi a Pupi Avati pensi all'Emilia Romagna, se pensi a Tarkovskji pensi alla Russia e con Bela Tarr all'Ungheria... e potremmo andare avanti a lungo).

Il cinema Arthouse, quello vero e ben fatto, al di là dei gusti personali, dei generi utilizzati e dei posti in cui viene fatto, conserva i caratteri dell'universalità e non dell'universalismo.


Altro elemento di rilievo nel film di Jordan Lisi è la capacità di far fruttare al massimo il poco budget a disposizione; il film forse anche grazie alla sua economia di mezzi, va avanti con semplicità a "passo d'uomo" entrando con delicatezza nelle vicende umane dei protagonisti. La semplicità e pulizia come cifra stilistica ben definita.

 

Il cast eccellente vede il proprio compito facilitato da dialoghi mai banali o ridondanti; lì dove la parola è di troppo e allora tocca alle immagini dare la temperatura esatta dello stato delle cose; le vicende, i sentimenti, e i visi dei protagonisti esprimono tutte le difficoltà degli essere umani moderni nell'affrontare le cose di tutti i giorni, tra sentimenti che vanno e vengono e un domani sempre più nebuloso.

 

Per tutte queste ragioni riteniamo che 12 And More Omissions rappresenti un punto di partenza nell'ottica di una ricerca che segue un doppio binario (ricerca cinematografica e scavo nell'anima dell'essere umano) e che sentiremo parlare molto in futuro di Jordan Lisi e del suo modo personale di accostarsi al cinema e alle persone. 

Quello che personalmente ci auguriamo è che Lisi continui ad arricchire il panorama del cinema indie di tutto il mondo che ha bisogno di personalità registiche come la sua, e che non ce lo ritroveremo a girare, tra qualche anno, Barbie 3 la vendetta come hanno fatto alcuni suoi illustri e capaci predecessori partiti proprio dalla scena indie...

Buon cinema Arthouse a tutti!



 

 

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