Waiters (Camerieri) - Adriano Giotti

  


L'opera di Adriano Giotti mette sotto la lente d'ingrandimento le dinamiche sociali che si scatenano nei momenti di difficoltà; nello specifico le difficoltà derivanti dal periodo di quarantena e dalle misure volte a bloccare la diffusione del virus. Attraverso una regia secca e partecipativa, una fotografia livida e priva di contrasti e una interpretazione incisiva messa in campo da un trio di attori che tenta di emanciparsi da certi stilemi ricorrenti nella produzione cinetelevisiva nostrana (scelta, tra l'altro, molto apprezzata dalla nostra giuria), il film mette in mostra un incontro scontro dal sapore darwiniano (e anche questo ci dice molto della direzione in cui sta andando il mondo, sencondo gli autori del film), in cui non si cerca di indicare con il dito vittime e carnefici ma si lascia allo spettatore la libertà di interpretazione critica dell'evento; ma se è vero che nel film non vediamo vittime e carnefici e altrettanto vero che notiamo un grande assente: lo stato. I tre protagonisti (quattro in realtà), sembrano abbandonati a se stessi, se la devono sbrigare da soli e... si salvi chi può. Ne abbiamo parlato con l'autore.

 

1. Il tuo film ha un impianto moderno che ricorda il cinema impegnato nord europeo (pensiamo ai fratelli Dardenne, ma soprattutto Ken Loach). Quanto c'è di giusto in questa nostra "intuizione"? Quale è il tuo punto di vista nei riguardi del cinema impegnato e di quello d'evasione?

La vostra “intuizione” è corretta, i fratelli Dardenne sono stati i registi che praticamente hanno dato inizio al mio percorso. Rosetta, L'Enfant, Il Matrimonio di Lorna sono sicuramente tra i miei film preferiti. Da là ho esplorato sia l'intera loro filmografia che quella di Ken Loach, Sweet Sixteen in particolare mi aveva fatto rimanere a bocca aperta ed è stato uno dei miei riferimenti sulla mia prima sceneggiatura per lungo. Ma devo molto anche a Matteo Garrone e John Cassavetes per il modo di lavorare con gli attori e costruire la scena.

Io non faccio differenza tra cinema impegnato e cinema d'evasione, ma distinguo tra cinema che emoziona e arriva dritto al cuore e cinema che non lascia traccia. Per me, come nei racconti che scrivo ma anche negli altri cortometraggi che ho girato, quello che conta è l'emozione e come farla arrivare al pubblico. Ogni anno si producono migliaia di film e se ne consumano ancora di più, ma alla fine quelli che restano dentro sono pochi, pochissimi. Far emozionare è la base di ogni narrazione. Cosa peraltro diversa da “intrattenere”, che si basa soprattutto sul ritmo e sul dosare contrasti, semina e raccolta e altri artifici narrativi. L'emozione invece c'è oppure no.E quando c'è, dev'essere vera.


2. Abbiamo interpretato Waiters nei termini di "una analisi oggettiva e impietosa degli effetti secondari del covid"... Tutte quelle problematiche scatenate dalla pandemia e dalle misure atte a controllarla e spesso un po' dimenticate (di proposito?) Il finale, poi, fa un po' il punto (senza emanare una sentenza) su chi sia vittima e chi carnefice. Concordi con questa lettura?

Waiters nasce dalla vischiosità sociale che il covid ha portato a galla, da questa atmosfera precaria che chiunque di noi in un modo o nell'altro sta vivendo. Vite intere sono state spazzate via in pochi mesi, è brutale quello che è successo e gli effetti sono purtroppo ancora in corso. Ho fatto molta ricerca prima di girare il corto e dalle testimonianze con le quali sono entrato in contatto, è nata la verità di Waiters. La spunto iniziale era dei tre attori Enzo Saponara, Giovanni Izzo e Alberto Tordi, poi ci abbiamo lavorato sopra come un vero team per definire ogni dettaglio della storia e dei personaggi, fino ad arrivare al finale che racconta quello che succede nei tempi come questo, dove l'umanità può arrivare a lasciare il posto all'animalità, all'istinto di sopravvivenza che in fin dei conti è la nostra base biologica. Tutti siamo vittime e tutti siamo carnefici.


3. Il film ha uno stile piuttosto nervoso quando non espressamente turbolento. La macchina da presa molto vicina agli interpreti (sarebbe più giusto dire in mezzo agli interpreti) è così vicina ai soggetti che spesso li perde a causa dei movimenti nervosi di questi. Il risultato è un eccesso visivo (pensiamo ai primi piani insistiti ma non stabili) che paradossalmente produce minore chiarezza, minore oggettività; concordi?

Volevo raccontare un'arena, dove tre persone finiscono per scontrarsi l'uno contro l'altro per un pezzo di pane necessario quanto fondamentale. Per questo ho piazzato la macchina da presa in mezzo a loro, facendola diventare quasi un quarto personaggio, sballottato da una parte all'altra alla ricerca di una possibile verità, di qualcuno per cui tifare. Mi sembrava l'unico modo per far percepire a sufficienza allo spettatore il nervosismo degli animi, dei corpi, il fatto che ottenere quei soldi sia una questione di vita o morte.

Come giustamente avete notato, non volevo “oggettività”, volevo “soggettività”, perché in questa situazione, nel corto così come nella realtà, non c'è proprio niente di oggettivo. 
 

4. La credibilità del lavoro, poi ha solide fondamenta su un trio d'attori che offre un'ottima prova. Difficile dire chi tra Izzo, Tordi e Saponara ha dato la prova migliore.... Come è stato il tuo lavoro con gli attori? Avevi in mente già loro dal principio?

Come ho detto sopra, sono stati loro tre a contattarmi, avevano questo spunto e un piccolissimo budget per raccontarlo. Ho riconosciuto subito che era qualcosa che mi stava a cuore e ho accettato immediatamente, mi sono messo a scrivere una prima versione dello script e poi abbiamo iniziato a lavorare assieme sui dialoghi e sul ritmo, in seguito abbiamo iniziato con le prove, lavorando soprattutto sulla backstory dei personaggi perché non volevo che fossero tre attori che interpretano dei camerieri, ma tre camerieri affamati e distrutti dalla situazione, tre camerieri veri così come siete riusciti a vederli nel corto. Secondo me un grosso problema del cinema italiano è proprio la scarsità di valore che si dà alle prove e all'istinto dell'attore, la costruzione dei personaggi è fondamentale per la verità e di conseguenza per l'emozione. Per questo è stato fantastico lavorare con tre attori di talento in grado di diventare davvero il personaggio, di viverlo, fin quasi da restarne intrappolati. E sono molto contento che chiunque abbia visto il corto se ne sia reso conto: questi tre ragazzi meritano di più e spero che molti altri addetti ai lavori se ne accorgano.


A cosa stai lavorando adesso?

Sto portando avanti diversi progetti parallelamente, soprattutto in tempi difficili come questi è fondamentale avere più storie attive, in modo da riuscire a portarne a casa almeno una. Sono uno che non si arrende, abituato ad incassare e a colpire a mia volta. Presto ci saranno novità.


Per ulteriori approfonodimenti potete consultare il sito: http://adrianogiotti.com/

Ringraziamo Adriano Giotti per la sua disponibilità e ci diamo appuntamento a breve per parlare di altri film in rassegna al Sipontum Arthouse International Film Festival. Intanto vi lasciamo con le parole della giuria.

Una storia maledettamente contemporanea (gli effetti "secondari" della pandemia) impreziosita da un'interpetazione ottima messa in campo dal trio di protagonisti, una fotografia livida che abolisce le ombre (non siamo più nel territorio dei presagi preannunciati dalle ombre, ma in una realtà che è essa stessa ombra) e da un montaggio perfetto ed empatico, "prova provata" che l'assioma di base che vuole "il regista mai montatore delle sue opere" è più che altro una leggenda metropolitana. (Vincenzo Totaro)

Waiters è un corto che ha il coraggio di accusare senza puntare il dito contro qualcuno in particolare. Ma coglie il segno lo stesso se non di più; è una testimonianza, e forse un presagio... di fiducie tradite, rapporti che saltano. Di relazioni comunitarie che sbiadiscono e si invertono nel loro contrario. Il tema non è solo il dramma di tre o quattro figurine della nostra società che non sa come dir loro che non servono più, ma è quello della devastazione di buona parte di attività commerciali e di vite umane. (Antonio Del Nobile)

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