The Cemetery e Seam - Alireza Beigi

 


Il cinema di Alireza Beigi è mosso da una forte componente umanistica. Donne e bambini sono protagonisti assoluti delle sue opere; un po' sono le vittime di un mondo meccanico e disumanizzante, un mondo dedito alla produzione di massa di qualsiasi cosa anche delle terrificanti tombe in serie che compaiono nel finale di The Cemetery; un po', le donne e i bambini, possono essere pensati come antidoto o unica speranza a questa direzione tutt'altro che rassicurante imboccata dal genere umano.
Abbiamo avuto il piacere di ospitare, presso il Sipontum Arthouse International Film Festival, due opere del regista persiano: The Cemetery, premiato come "Best Student Project" e Seam entrato nella selezione ufficiale. Film contraddistinti anche da una regia solida e dal forte impatto visivo ma soprattutto emotivo. Ne abbialmo parlato con l'autore.
 

1. The Cemetery e Seam sono due film "forti" incentrati su personaggi femminili schiacciati da un mondo che si sta gradualmente disumanizzando. Queste donne sono "resti umani" in un paesaggio a volte post apocalittico. Cosa puoi dirci al riguardo?
Volevo intanto ringraziarvi per aver dedicato del tempo ad guardare e analizzare i miei film. Sono contento che abbiano suscitato il vostro interesse.
Innanzitutto, dobbiamo dire che la mia preoccupazione principale, ora, come regista, sono le donne e i bambini; non sono né un femminista né un misogino, cerco di essere equilibrato.

Hai indovinato, il mio focus è sulle donne, stavo cercando di mostrare un mondo svuotato dalle emozioni umane e indifferente all'esistenza di un altro attraverso uno sguardo femminile, talvolta, ma anche infantile.




2. Il tuo cinema appare allestito in chiave fortemente autoriale e personale; tuttavia, in alcuni passaggi (così vicini alla sensibilità femminile) ci hai ricordato un regista egiziano poco noto al grande pubblico, Youssef Chahine, e in particolare il suo film, Central Station (1958). È solo una nostra impressione? Quali sono, se ci sono i tuoi maestri cinematografici?

La sensibilità femminile e la conoscenza delle donne sono secondo me una questione vitale, soprattutto nella formazione del dramma.

Ho imparato dal cinema sperimentalmente e sono in debito con il cinema stesso; ho imparato soprattutto vedendo le opere di Ko Rosa ٬ Kobayashi e Blatter ٬ Milos Forman e Coppola ٬ Luis Bunuel ٬ Godard ... ...

Ho cercato anche di affrontare più studi filosofici e ho tenuto un seminario di dieci giorni con Asghar Farhadi.

Mentre se parliamo del mio paese, i miei registi preferiti sono: Bahram Beizai e Jafar Panahi e Rasoul F., Abbas Kiarostami e Sohrab Shahid Sales e Amir Naderi.

Per quanto riguarda Yousef Shahin da te citato, devo riesaminare meglio le sue opere per poterti rispondere in modo adeguato.

 


3. In "The Cemetery" la narrazione per immagini (già abbastanza sconvolgente su di lui) raggiunge il suo apice nella sequenza finale delle "fosse comuni", un'immagine estremamente potente che lo spettatore difficilmente può dimenticare. Raccontaci un po' di più di quel luogo e della genesi del tuo film.

Per quanto riguarda la genesi del film, posso dire che con The Cemetery si è trattatato della prima esperienza come direttore della fotografia, regista, montatore, scenografo, ecc. Ho pensato di dover fare tutto da solo. 

Passare dal mondo del testo al mondo delle immagini è stata un'esperienza molto divertente, strana e laboriosa.  Come il parto nelle donne, Lettere, parole e frasi incorniciate per mezzo di una performance attoriale.

Dobbiamo spendere due parole sul luogo che si vede nel film; questo posto esiste davvero, e per molto tempo mi sono chiesto come sia possibile pensare così crudelmente contro la vita e accogliere la morte.

Accettare questo pensiero distruttivo  mi disturbava molto, soprattutto se pensiamo che i senzatetto si rifugiavano lì per sfuggire al freddo.

 


4. In Seam fai una riflessione molto interessante sul ruolo degli scrittori nel mondo moderno; una riflessione che non lascia troppo spazio all'ottimismo. Ecco, quale pensi sia il tuo ruolo/compito di regista?

Al centro delle mie preoccupazioni c'è la paura che diventare un regista o uno scrittore sia uno strumento al servizio del capitalismo.  

Nel film c'è una riflessione sull'ignorare l'altro... su quella pervasiva riluttanza a leggere e approfondire... ma, in questo caso, non sono troppo contento del film ٬ perché non sono riuscito a mettere in atto quello che avevo in mente e spero che questo accada nel prossimo lavoro che farò.

Si vede più l'indifferenza nel film, e il mio uso di elementi colorati è stato molto impercettibile.

 


5. A cosa stai lavorando ora?

Il mio prossimo progetto è un altro cortometraggio e ora sono alle prese con diversi testi che ho già scritto e assemblato per realizzare un altro cortometraggio e un lungometraggio.  Sono felice di aver potuto parlare con voi.

 

Ringraziamo Alireza Beigi per la sua disponibilità e ci diamo appuntamento a breve per parlare di altri film in rassegna al Sipontum Arthouse International Film Festival. Intanto vi lasciamo con le parole della giuria.

Quanto lontani sono gli intellettuali dalla gente comune? Sembra questa la domanda del regista di Seam. La risposta è : molto lontani. Non solo distanti ma estranei. Addirittura incompatibili. La scrittrice e il figlio racchiusi in un mutismo apatico sono monadi. Le persone, monadi anche esse, prigioniere dei nuovi idola tecnologici. Tutto il corto sembra porre domande e suggerire risposte. Il tentativo di salvare il disgraziato che si dà fuoco non riesce alla scrittrice. Come non riesce da tempo ali intellettuali di interpretare le istanze della masse. Non le rimane altro che tornare nella sua zona di comfort e riprovare a scrivere. Molto efficace la scena finale che vede la penna piangere la sua lacrima o sanguinare la sua goccia di inchiostro sulla pagina, quasi a dire che il compito primo della scrittura è la testimonianza del dolore e della sofferenza e la partecipazione umana, di tutte le classi sociali, alle vicende della storia. (Antonio Del Nobile - Seam)

Film dal forte impatto visivo, potente nel rendere la disperazione e l'angoscia di una donna che emerge dalla tomba nella quale ha vissuto per tanto tempo e che acquisisce consapevolezza della sua condizione. Interessante la stratificazione attraverso la quale viene costruito il personaggio della protagonista, come se vedesse se stessa da diversi punti di vista. Vede la " bambina " che era in sé, morta e sepolta per sempre. Una parte di sè prova pena e tenerezza per la" bambina", le si stende accanto ma cerca al tempo stesso una via di uscita, guardando verso l'alto. Un'altra parte di sé, quella ormai, riemersa e "consapevole" non può che vedere se stessa dalla direzione opposta, guadandosi in profondità e in tutte le fasi della sua trasformazione( l'urlo di aiuto è liberatorio ma è anche di ribellione e di acquisizione di consapevolezza) Un urlo di aiuto rivolto al mondo verso il quale si appresta ora ad andare , da sola, lentamente e ancora provata, schivando milioni di altre "tombe vuote" pronte ad inghiottirla ma conservando e portando con sé un barlume di fanciullezza che nessuna prigione può mai annientare del tutto. (Manuela Boccanera - The Cemetery)

 

 

 

 
 
 

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