FOCUS - frammenti di neorealismo nel cinema Indiano - The Discipline di Prahas N

 

Il grande pubblico occidentale, quando pensa al cinema indiano, pensa immediatamente a Bollywood: comincia a visualizzare nella mente uno stereotipo esotico che lascia supporre film in abiti tradizionali, buoni sentimenti e tanti colori sgargianti che avvolgono dive e divi di bell'aspetto i quali a un certo punto del film, quasi senza alcun motivo, cominciano a ballare all'interno di una grandiosa coreografia;


 Ovviamente non c'è nulla di più sbagliato che tentare di racchiudere una società in uno stereotipo; questo discorso vale ancora di più per una cultura così ricca e complessa, così densa di storia e contraddizioni come è quella indiana.

Il Sipontum Arthouse International Film Festival è stato testimone, per esempio, dello stato di salute di una cinematografia di altissima qualità e ricca di sfumature differenti. Un cinema fisico, metafisico, politico e filosofico; insomma, abbiamo visto tutto tranne quello che ci aspettavamo (lo stereotipo bollywoodiano). Abbiamo scoperto che il cinema fatto in Kerala non è esattamente uguale a quello fatto nel Tamil Nadu che non simile al cinema Bengalese...

Ed è così che, tra le tante splendide sorprese che ci sono giunte, The Discipline (Shiksha è il titolo originale), ci consegna un altro tassello importante, un'altra sfumatura che ancora non avevamo percepito in questo complesso mosaico cinematografico che è l'India. Nel film diretto da Prahas N (premiato per la sua regia solida e matura) è possibile rinvenire i semi di un approccio cinematografico che possiamo definire neorealista.


 Il film ha una trama piuttosto esile: la vicenda è collocata negli anni novanta, in un collegio "postcoloniale" in cui una severa insegnante impartisce lezioni e punizioni corporali ai suoi studenti. La docente è severa ma in buona fede, tanto che non attira l'odio dei suoi ragazzi.



La sottile trama è un pretesto per indagare quelli che lo stesso regista definisce processi assurdi di autocostruzione (self-making process), rivelando le difficoltà e le contraddizioni dei processi di modernizzazione post coloniale. Tutto ciò è sotteso alle immagini che scorrono nel film secondo dinamiche di quitidianità legate alla vita dei ragazzi (che restano dei ragazzi giustamente inclini al gioco in ogni condizione e situazione).

Lo stile secco e preciso del film trova una sponda utile nelle interpretazioni eccellenti di tutti gli interpreti; i ragazzi sono meravigliosi e credibili.
 


Il film si è aggiudicato due premi: un premio alla regia e una alla fotografia. Resta un'opera interessante e problematica che non ha mancato di suscitare interesse nel pubblico durante la proiezione dal vivo al Sipontum Arthouse International Film Festival.

Un film capace di aggiornare il "modo neorealista" di fare cinema e getta un ponte verso questo genere di film. Si intuisce in filigrana un'altra parentela più sottile (e in un certo senso inquietante), tra The Discipline e Il Nastro bianco di Haneke.

Lo aveva già detto Vittorio De Sica e questo film lo ribadisce: qualunque cosa facciamo, ricordiamoci sempre che "i bambini ci guardano".

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