FOCUS - la serie "Tiny Moving Pictures" di Lindsay McIntyre

 



Lindsay McIntyre è una regista e artista canadese, di origini Inuit, già molto affermata sulla scena artistica internazionale. Abbiamo avuto il piacere di presentare al Sipontum Arthouse International Film Festival quattro sue opere appartenenti alla serie Tiny moving pictures (che potremmo tradurre con con l'etichetta "film minuscoli"). A tratti, questi piccoli film, sembrano piovuti a noi da un'altro decennio e da un altro contesto; azzardiamo una ipotesi: sarebbero piaciuti, e tanto, a Jonas Mekas.

Si tratta di cortometraggi di breve durata, di carattere sperimentale, dove la sperimentazione si riferisce in particolar modo all'aspetto materiale del film e all'unità minima del linguaggio cinematografico: l'immagine. L'aspetto narrativo, in queste opere, emerge solo in negativo e attraverso il contributo attivo dello spettatore capace di completare i vuoti e i silenzi di narrazione. Realizzati spesso in pellicola, caratterizzati da un utilizzo sperimentale di materiali, forme e colori, l'opera della McIntyre viaggia sul doppio binario di cinema come immagine immateriale, spesso legato alla parabola intima di un ricordo familiare che si fa universale, e supporto materico che entra di prepotenza all'interno dell'immagine stessa regalandoci delle sequenze che si possono quasi toccare. Ma non solo: la sperimentazione si rivolge anche all'immagine digitale.

Stand By

 Questo è il caso di Stand By, realizzato insieme a Brittney Appleby che ne ha curato il sound, film evidentemente girato in digitale all'interno degli aeroporti di tutto il mondo. Qui i momenti di attesa e di sospensione del viaggio diventano spunto per una riflessione su questi giganti tecnologici a cui affidiamo la cura dei nostri spostamenti e delle nostre vite.


All-Around Junior Male

 

In All-Around Junior Male si seguono le evoluzioni atletiche di un giovane atleta Nunamiut (popolazione dell'entroterra dell'Alaska)impegnato nel one-foot high-kick, il più impegnativo dei giochi artici. Lo seguiamo attraverso uno stile che fa emergere le immagini dal buio, lentamente, fino a farle scomparire nella luce abbagliante, in un bianco e nero solarizzato e molto suggestivo.

Seeing Her

In Seeing Her, il più breve della serie che abbiamo potuto visionare al festival, la sperimentazione sul supporto fisico del film e sulle forme e colori in movimento si innesta in modo più deciso sulla sfera personale. L'autrice riprende in "close up" l'amauti di sua nonna (l'amauti è un parka Inuit tradizionale dell'area nord orientale del Canada) attraverso una serie di evoluzioni statiche che messe in rapida successione ci danno il movimento. L'attrice si chiede e ci chiede cosa possiamo vedere tra queste immagini che scorrono , a tratti freneticamente.

In The Backyarden

In The Backyarden, l'opera che ci è sembrata più compiuta, vincitrice del premio come miglior film sperimentale al Sipontum Arthouse International Film Festival, mostra nei cinque minuti della sua durata, una bambina che gioca nel cortile. La sperimentazione sulla pellicola che si realizza nel gioco di colori e nelle suggestive sovrimpressioni, riesce qui a evocare con forza la gioia e spensieratezza infantile, interpellando il ricordo dello spettatore e la dimensione intima e personale che si fa universale, un equilibrio instabile e gentile che riesce ad emozionare per vie misteriose il pubblico ben disposto verso questo genere di spettacolo cinematografico.

Lindsay McIntyre, con il bagaglio ragguardevole accumulato in oltre quaranta cortometraggi a carattere sperimentale, si affaccia oggi al cinema narrativo, quello più classico per intenderci. L'autrice è infatti impegnata in un progetto di lungometraggio intitolato The Words We Can't Speak.

Sul sito ufficiale è possibile visionare i film discussi in questa sede più altri della serie Tiny Moving Pictures.

 


 

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