Saper ascoltare il cinema - Conversazione sulla "presa diretta" con Francesco Liotard
Oggi affrontiamo un argomento
assai spinoso: il suono in presa diretta. Che si tratti di
cinema istituzionale o di microcinema, produzioni a basso budget o no
budget, la cattura del suono è sempre la parte più delicata (e
spesso bistrattata) di una produzione filmica; se c'è da risparmiare
si risparmia sul suono, tanto poi, mal che vada, si può sempre
doppiare…
Ne abbiamo parlato con Francesco
Liotard autore del suono in presa diretta per tantissime produzioni
di autori che non hanno bisogno di presentazione (tra gli altri
Ermanno Olmi, Rocco Papaleo e Stefano Mordini. -
In una scheda a parte la sua biofilmografia essenziale).
Ma entriamo subito
nell'argomento.
1.
Buongiorno Francesco, approfittiamo della tua disponibilità per
parlare del suono in presa diretta.
Il
suono in presa diretta, in senso stretto è la ripresa sonora di
tutto ciò che accade durante le riprese video. Il fonico di presa
diretta ha come obiettivo tecnico principale quello di portare a casa
la comprensibilità del dialogo.
Il
problema di fondo è capire quanto sia importante la tecnica e quanto
pesi la sensibilità del fonico stesso. Io credo che l'importanza
“tecnica” sia relativa se paragonata al peso che può avere la
sensibilità di chi fa questo mestiere. In questo senso, la
formazione “sonora” nelle scuole di cinema non mi sembra
particolarmente adeguata, perché vengono fuori studenti con un sacco
di tecnica e di convinzioni, ma che poi hanno molte difficoltà a
capire cosa bisogna fare concretamente su un set.
Apro
una parentesi: in realtà trovo abbastanza assurdo che scuole di
audiovisivo (non parlo in questo caso di scuole tecniche come il
Centro Sperimentale o la Rossellini) in realtà siano scuole di
“visivo” e basta. L'audio non è proprio contemplato.
Il
suono è una componente chiave nella vita di tutti noi, lo è spesso
in modo inconsapevole, non smettiamo mai di sentire (di ascoltare
forse qualche volta) ma di sentire mai; addirittura sentiamo già
prima di nascere, tanto per fare un esempio. Ascoltiamo quindi
inconsapevolmente, continuiamo a percepire continuamente il mondo
attraverso le nostre orecchie. Però nessuno ci insegna ad
attraversare la strada ascoltando. Ci dicono: guarda bene quando
attraversi la strada… Ma quella volta che sei riuscito a evitare
di esser messo sotto è solo perché l'hai sentita arrivare la macchina,
non perché l'hai vista.
Tornando
alla presa diretta; cosa è in termini semplici: portare a casa i
dialoghi... punto. Questo è il compito del fonico. Diciamo subito
che per come la vedo io, la presa diretta non è il dialogo, per me
la presa diretta è tutto l'impianto sonoro del film partendo proprio
dai momenti di silenzio che sono anche i momenti più complicati nel
nostro lavoro. Esistono delle eccezioni ovviamente; per esempio
proprio nell'ultimo film che ho fatto con Stefano Mordini (Gli
infedeli, ndr). Beh Stefano ha l'abitudine di utilizzare molta musica sul set per creare l'atmosfera giusta con gli attori. Quando gli attori partono con i dialoghi, lui
stacca di colpo la musica e all'improvviso viene fuori, emerge
letteralmente tutto il fondo sonoro, cose che prima non riuscivi a
percepire vengono fuori all'improvviso, di prepotenza quasi, a volte
ti sorprendono. Si tratta di un modo complicato ma stimolante di lavorare, anche molto
divertente (e con Stefano è tutta presa diretta), un modo che però
è anche molto complesso perché sacrifica proprio quel partire dal
silenzio di cui parlavo prima.
2.
L'importanza dell'ambiente e quindi del set nella presa diretta.
La
presa diretta è ascolto incondizionato di quello che avviene sul set
e la tua professionalità fa si che alla fine della giornata porti a
casa un riassunto di quello che hai capito tu, cioè i dialoghi ma
anche tutto il resto, le ambientazioni appunto, perché tutto ciò
che ti circonda ti racconta qualcosa, ti dà un sacco di informazioni
in più ed entra in qualche modo nella storia principale dei
protagonisti del film. In questo senso, tutti questi microfoni che
producono adesso, quelli digitali con autosoppressori di rumore…
che modulano i suoni e li interpretano a modo loro… ecco, mi
sembrano una follia totale. Non possono decidere i microfoni quello
che io devo catturare.
Se
parliamo di ambienti e panorami sonori, parto dall'idea che il
silenzio totale non esiste, o meglio, esiste solo in rapporto a un
suono che rompe il silenzio, e questo silenzio ha una sua profondità
ben precisa.
Per
esempio, tu adesso sei nel tuo studio, magari abbastanza silenzioso,
c'è un po' di traffico in lontananza, rumori dall'appartamento
accanto e altre cose simili. Ad un certo punto senti uno sparo.
Quello sparo determina la profondità di quel silenzio (che
evidentemente non era vero silenzio). Ora supponiamo che sei in una
casa di montagna, isolata, sotto la neve. L'ambiente esterno non
entra con i suoi suoni e tu sei in una situazione vicina al silenzio
pieno. Il tuo orecchio a questo punto “impazzisce” e si apre
sempre più fino a percepire il ragno che si muove sulla parete o una
trave che scricchiola. Quella trave che scricchiola determina la
profondità di quel silenzio.
Ogni
suono che rompe il silenzio racconta una storia. Dal mio punto di
vista un'autostrada non è un ambiente rumoroso, bensì un ambiente
pieno di storie (ogni macchina una storia).
La
stratificazione di suoni ambientali allora, determina una
stratificazione di storie. Un fonico di presa diretta quindi, ogni
volta che parte con un team, è come se partisse per fare un
documentario. È la
possibilità reale che ha il suono, far arrivare allo spettatore
tutte queste storie senza la necessità di mostrarle.
I
dialoghi, poi, si innestano su questo panorama sonoro.
Io
non leggo mai i dialoghi; ho cominciato con Ermanno Olmi che
non dava mai la sceneggiatura nemmeno agli attori. A me bastano gli
stralci di giornata, quelli che ti spiegano più o meno il programma,
quanti attori sono, la loro disposizione nello spazio, la stanza dove
si gira, eccetera eccetera. Il fatto di non sapere cosa diranno mi
aiuta molto nell'ascolto sul set, anche nel cogliere un errore di
battuta, quando un attore si mangia una parola, per esempio, e tu
capisci già cosa avrebbe dovuto dire. Non conoscere le battute mi
rende più attento, rende l'ascolto più veloce e “affilato”.
3.
E il doppiaggio di dialoghi o parti di dialoghi?
Anche
se un attore è bravo, al doppiaggio non sarà in grado di ricreare
quel pathos, quelle occorrenze nell'interpretazione colte sul set. I
dettagli, le sfumature che sa darti nel momento, non torneranno mai
in fase di doppiaggio, mai.
Io,
come ti dicevo, ho cominciato con Ermanno Olmi. Il primo film
che ho fatto è stato Il mestiere delle armi. Olmi, a quei
tempi, doppiava tutto. Hanno mandato me e non uno più esperto perché
tanto dovevano doppiare e non c'era possibilità di sbagliare (in
quel periodo mi occupavo ancora di fotografia). Montando il suono di
quel film ho capito tutta una serie di cose e sono rimasto talmente
affascinato che poi ho mollato la fotografia e mi sono dedicato
interamente al suono. Ero affascinato dalla possibilità di
raccontare allo spettatore tantissime cose in più rispetto a quello
che può fare l'immagine.
Per
quanto abbia vissuto il doppiaggio con Ermanno e con altri registi,
per me, non può essere un punto di partenza. Non puoi parlare di
presa diretta partendo dal presupposto che se qualcosa va male poi si
possa doppiare.
La
post produzione serve a risolvere problemi che si sono incontrati
durante le riprese, però non puoi fare un film pensando che, male
che vada, esiste iZotope (discorso da fare in particolare agli
studenti di scuole del cinema). In realtà iZotope servirebbe
per fare tante altre cose…
Come
ti avevo accennato, ho lavorato in post anche film che non ho girato
io direttamente, che avevano effettivamente dei problemi di presa
diretta.
Come
fai a risolvere i problemi di un film che si sente “tendenzialmente
male”? Fai sentire tutto “tendenzialmente male”. Immediatamente
il suono diventa bello perché l'orecchio non subisce shock passando
da parti con un audio brillante ad altre con con suoni più rovinati.
4.
Nella presa diretta ci sono difficoltà a catturare la voce degli
attori;mi riferisco a quando hai attori con voci possenti che devono
lavorare insieme ad altri con timbri più delicati. Come si risolve
questo problema?
Intanto
gli attori, quelli professionisti, devono tirar fuori la voce,
utilizzare il diaframma (che non significa gridare le battute,
attenzione).
Qui torna il discorso fatto sull'importanza della sensibilità del fonico e la capacità di trovare delle soluzioni che vanno al di là della tecnica e della tecnologia utilizzata. Per esempio, in un film in cui ho lavorato di recente c'era una scena che coinvolgeva un attore professionista e una generica senza particolare esperienza nel settore. In questa scena, lui entrava nell'androne di un condominio scambiava alcune battute con lei che era già lì. Al terzo ciak sono andato da lui e gli
ho chiesto: Una cortesia, vai più piano, altrimenti la tua
voce mi copre completamente quella dell'attrice che ne ha una troppo
sottile. Questo perché il timbro di voce di un attore professionista è più controllabile, nella maggior parte dei casi, rispetto a quello di chi professionista non è. L'interprete si mise a ridere dicendomi: sei un genio, sei il primo fonico che mi
dice di usare meno la voce.
Ovviamente
il mio lavoro è subordinato alla regia; non è che prendo e vado a
discutere con gli attori. Bisogna prima confrontarsi con la regia
dopodiché c'è chi va a comunicare certe scelte agli attori (non
sempre e non necessariamente sono io).
Comunque in quel caso la soluzione è stata quella di modulare la voce più alta non potendo dare corpo a quella più bassa.
Comunque in quel caso la soluzione è stata quella di modulare la voce più alta non potendo dare corpo a quella più bassa.
In
questo senso, in teoria, il ruolo del fonico è anche quello di
essere il migliore amico dell'attore, perché se il fonico e l'attore
lavorano bene insieme, alla fine, il fonico porta a casa il risultato e l'attore non va al doppiaggio.
Ricordo
una scena molto bella di Una piccola impresa meridionale di
Rocco Papaleo.
In
questa scena, Rocco Papaleo e Riccardo Scamarcio
salivano dal mare lungo un viottolo tortuoso e discutevano per tutta
la strada fino ad arrivare “sotto macchina”; a quel punto partiva
una steady a precedere e loro continuavano il dialogo. Bene: quando
partiva la steady cam, c'erano cinque persone che cigolavano,
tintinnavano gracchiavano, sfrigolavano e facevano ogni sorta di
rumore possibile e immaginabile. Dopo il primo ciak dico ai ragazzi
che non si può, bisogna trovare un'altra soluzione. Quindi parte la
discussione e il direttore della fotografia si incavola e conclude
che tanto si può doppiare. A quel punto interviene Rocco e dice:
visto che sono l'attore in questa
scena e anche il regista, se
devo scegliere tra cambiare inquadratura e andare al doppiaggio, io
scelgo di cambiare inquadratura.
5.
La dotazione minima tecnica per un ragazzo che voglia fare l'audio in
un cortometraggio (al netto delle sue capacità).
La dotazione minima per fare
anche un film è: un registratore un microfono un'asta e un paio di
cuffie, tutto di buona qualità ovviamente. A quel punto bisogna
comprendere l'attrezzatura che si ha a disposizione. Dalle cuffie,
per esempio, cosa senti veramente?, Come si comportano i tuoi
preamplificatori? Come interpretano un segnale che arriva da un
microfono? Capire i limiti tecnici degli strumenti che hai insomma.
Bisogna creare feeling con l'attrezzatura e una volta trovato,
evitare di cambiare troppo spesso per correre dietro all'ultimo
ritrovato tecnologico che promette di fare chissà cosa.
La mia dotazione standard è un
416 e un 816 (sennheiser MKH ndr). Il secondo è un microfono
lunghissimo che non producono più da anni. Ci ho fatto film interi
perché “suona” da paura.
Torneranno i prati di
Ermanno Olmi, è tutto 816. Se ricordi il film, c'è una scena
in cui un giovane tenente è seduto a un tavolo con Claudio
Santamaria, e parlano con un filo di voce. Senti il tic
tac piuttosto forte che viene dell'orologio che Santamaria tira fuori
a un certo punto e appoggia sul tavolo. Loro parlavano più piano del
ticchettio dell'orologio. Ti dò anche una piccola chiave di lettura:
alla fine di quella scena, Claudio Santamaria prende il cappello che
ha in mano e copre l'orologio e lo ha fatto in scena. E lo sai
perché? Perché non riusciva a sentire l'altro che parlava, era
coperto dal ticchettio dall'orologio. Poi Ermanno ha tenuto la scena
perché Santamaria con quel gesto “copriva il tempo”. È arrivato
subito dopo urlando: bellissimo! Più piano ancora!
Ecco, quel ticchettio non è
aggiunto in post, è presa diretta.
Sono tornato da Ermanno Olmi... perché l'incontro con lui è stato fondamentale per me e per il mio lavoro, una fortuna della quale sono perfettamente consapevole sin dal principio. Ci ha lasciati più di un anno fa, ma io non smetterò mai di ringraziarlo.
Sono tornato da Ermanno Olmi... perché l'incontro con lui è stato fondamentale per me e per il mio lavoro, una fortuna della quale sono perfettamente consapevole sin dal principio. Ci ha lasciati più di un anno fa, ma io non smetterò mai di ringraziarlo.
Ringraziamo Francesco e ci congediamo da voi proponendovi una iniziativa di cui lo
stesso Francesco è uno dei principali promotori (con la sua società di distribuzione
Moovioole).
Locate your sound, è un interessantissimo e ambizioso progetto che si propone di
mappare i suoni del mondo intero; creare una banca sonora, (di suoni
molto ricercati da professionisti e non).
In questo video una breve ma completa introduzione al progetto.
Sul sito tutte le informazioni utili per
far parte o usufruire di questo progetto: https://locateyoursound.com
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