La vita è una ripetizione - Stabat Mater di Marina Sagona

 

Stabat Mater è stato uno dei lavori più apprezzati dalla squadra di giudici del Sipontum Arthouse International Film Festival suscitando notevole interesse per la eco che riesce a innescare (in modo diverso e complementare) all'interno di ogni giudice/spettatore.

Il film è composto da una sequenza di 15 secondi che mostra il dipinto di una donna sofferente seduta sul divano (la stessa regista) in un movimento che va dal primo piano al totale; contestualmente, troviamo delle scritte sovraimpresse che riproducono il breve dialogo che ascoltiamo sullo sfondo (dialogo tra la figlia e l'ex marito della regista, il pittore Bernardo Siciliano). Unico elemento che procede senza ripetizioni è lo Stabat Mater di Pergolesi che fa da tappeto sonoro significante.

Questa breve sequenza, breve ma incredibilmente densa, viene ripetuta più volte, e a ogni ripetizione la scritta in sovraimpressione diventa più piccola e più leggibile. 

Questa piccola e toccante opera d'arte, che racchiude in poco più quindici secondi un'esperienza cinematografica completa, è un esempio compiuto delle enormi potenzialità che ha "il cinema di famiglia", il found footage film, di toccare ed emozionare lo spettatore per vie traverse, in un modo sconosciuto al cinema classico (che sia narrativo o documentario non cambia).

La regista racconta di come questo quadro, giunto al crepuscolo della sua storia d'amore compromessa anche e forse soprattutto dalla malattia della figlia, fosse stato per lei difficile da sopportare nei periodi successivi agli eventi. Una presenza ingombrante, un segno, un doppio, una ripetizione, non tanto icona dei connotati fisici, ma forse soprattutto indice della sua sofferenza.

E allora azzardiamo un'interpretazione secondo le dinamiche della ripetizione.

Su questo tema ci arriva in soccorso Kierkegaard che dice:

...dacché ripetizione è un termine risolutivo per ciò che fu "reminiscenza" presso i Greci [...] Come dunque costoro insegnano che ogni conoscere è un ricordare, così la filosofia nuova insegnerà che la vita intera è una ripetizione. [...] Ripetizione e ricordo sono lo stesso movimento, tranne che in senso opposto: l'oggetto del ricordo infatti è stato, viene ripertuto all'indietro, laddove la ripetizione propriamente detta ricorda il suo oggetto in avanti. Per questo la ripetizione, qualora sia possibile, rende felici - nell'ovvio presupposto che uno si dia tempo per vivere, e non cerchi appena nato di risquagliarsela con una scusa del tipo : <<ho dimenticato qualcosa>>. 

Ripetizione come vita dunque.

Il ritratto rappresenta per la regista un duplice dolore:

il dolore di una donna che è stata abbandonata e il dolore di una madre che sta davanti alla croce del suo bambino.

E allora la ripetizione, secondo un movimento che si avvicina alla maniera liturgica della preghiera, serve a neutralizzare questo dolore rendendolo attuale per poter conoscere e quindi rinascere. Un film di una vitalità estrema, quasi urlata, quindi; non felice alla maniera voluta da Kierkegaard, forse... ma certamente vitale.

Stabat Mater, a nostro avviso, contiene questo aspetto e tanto ancora; vissuto in prima persona, rappresenta un fulgido esempio di cinema sperimentale e delle sue infinite possibilità cinematografiche ed emotive, in una parola: umane.


Di seguito le impressioni della critica sul film.

Operazione originalissima e molto interessante quella di raccontare una storia attraverso la ripresa video di un'opera pittorica ritraente il volto sofferente dell'autrice nonché regista stessa del film : La reiterazione (quasi liturgica) della stessa immagine più e più volte attraverso lo stesso movimento di macchina (il carrello che ogni volta si allontana per poi tornare sul volto della donna e poi riallontanarsi pian piano) se da un lato racconta molto bene il senso di distacco e di 'abbandono subito dalla donna da parte del marito(autore del dipinto) nonché, dall'altro lato, la maternità( la donna è nuda e a gambe divaricate e patisce anche per la malattia della figlia), al tempo stesso, in maniera quasi ipnotica ,il ritorno progressivo sul volto intenso della donna ti consente ogni volta di entrare sempre più in profondità.. nella sua anima.. cogliendone appieno tutto il tormento. Da "modella" di un'opera pittorica altrui , la regista è come se si fosse riappropriata del suo vissuto ,ne avesse rielaborato il dolore e lo avesse fatto proprio , impedendone che fosse "gettato via " (Manuela Boccanera)

"..si sta come d'autunno sugli alberi le foglie.." mi verrebbe da dire. Si sta (sempre) nudi e precari davanti alla sofferenza e alla morte. E si sta davanti ad un opera d'arte come davanti ad uno specchio. L'artista ci propone un'opera basata sulla ripetizione. Una sequenza reiterata dello stesso frammento: la ripresa di un quadro rappresentante una donna seduta su un divano, nella quale le due uniche variazioni sono rappresentate rispettivamente da un doppio audio che si inverte: Da una parte il significativo dialogo tra padre e figlia (ex marito dell'artista e figlia) che si ascolta inizialmente in primo piano e che durante le ripetizioni va progressivamente scemando, lasciando che il primo movimento dello "Stabat Mater" di Giovan Battista Pergolesi, lo vada soppiantando col suo potente carico emotivo. Allo stesso modo una scritta, il dialogo di cui sopra, compare a mo' di watermark gigante sul girato, scritta che diviene sempre più piccola, ripetizione dopo ripetizione, fino a scomparire del tutto... cosa può voler dire tutto questo? Il titolo del corto ci viene in aiuto, il dipinto rappresenta la condizione esistenziale dell'artista che cristallizza una propria fase di doppia sofferenza (della crisi matrimoniale e della malattia della figlia). Da questo corto fiotta in qualche maniera la consapevolezza della propria condizione in quel particolare momento. Ma è una consapevolezza che va componendosi, non è data una volta per tutte o consegnata allo spettatore come perla. Lo spettatore è costretto a ricostruire il significato del corto passaggio dopo passaggio. Solo alla fine si capisce contenuto e logica e artificio e sentimento che pervade il corto. La ripetizione del frammento, chiave di volta dell'impianto poetico, mi ricorda i grani di un rosario, antidoto alla sofferenza. E della sofferenza mi ricorda alcune ricadute psichiche come l'ossessione e la fissazione. Ma la ripetizione sta alla base anche di tante forme di meditazione. Il corto, in un certo senso, ha proprio l'andamento della meditazione. Quel progressivo addentrarsi, quell'approssimarsi per gradi al mistero della sofferenza umana... Dunque non esito a paragonare questo lavoro ad una preghiera laica . Per il momento uno dei massimi esempi di sperimentazione nel nostro festival. (Antonio Del Nobile)

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