Adagio Portoghese - Guido Bandini
Un regista giunge nella città di Oporto sulle tracce di un documentario di Manoel De Oliveira: Il pittore e la città...
Sono queste le premesse di partenza di Adagio Portoghese, piccolo gioiello firmato da Guido Bandini e vincitore del premio come miglior documentario e menzione d'onore all'ultima sessione del Sipontum Arthouse International Film Festival (e che, ricordiamo al pubblico, sarà proiettato in autunno presso La Traccia Nascosta - Sound Recording Studio, a Manfredonia). Un documentario con un incipit metacinematografico che ci offre un'ottima occasione per meditare sul cinema, sulla vita e sull'esistenza più in generale. L'autore sceglie uno stile che si avvicina, per sensibilità, al cinema pionieristico e l'atto del guardare, dell'osservare e del riprendere, è importante tanto quanto quello che si disvela davanti alla macchina da presa (e al fuoricampo). In alcuni passaggi sembra quasi di intuire Alex Promio dietro la macchina da presa impegnato a riprendere "vedute" in giro per il mondo per i film "dal vero" dei fratelli Lumiére.
Pervaso da un'atmosfera profondamente umana non manca di momenti densi di poesia e nostalgia.
Ne abbiamo parlato con l'autore.
1. Adagio Portoghese ha l'andamento di un diario di viaggio molto intimo, parla di cinema e sembra che il cinema scaturisca dalla vita attraverso le immagini vive di una Oporto che è anche un po' poesia (del passato e del presente). Sei d'accordo? Cosa puoi dirci in proposito?
2. Il movimento e il guardare sono due elementi fondamentali del cinema (del fare cinema ma anche del fruire). Cosa ne pensi?
3. Il documentario di Manoel De Oliveira dialoga costantemente con le immagini della Oporto moderna creando una sorta di collante temporale, chiaramente avvertibile tra le sequenze. Quale idea c'è alla base di questo film?
L'idea iniziale del film è stata quella di arrivare ad Oporto e andare, per prima cosa, a ritrovare quegli stessi luoghi dove Manoel De Oliveira girò il suo “O Pintor e a cidade”. Quello che poi ho scoperto girando, osservando la città ed entrando sempre più dentro la sua vita, è che la sua “anima” non era cambiata molto da quando De Oliveira la raccontò nel 1956. Il mio intento non è stato stato tanto quello di riallacciare il tempo presente a quello passato o di sottolinearne le differenze o i contrasti, ma bensì quello di far dialogare tra loro i due tempi, fondendoli in un unico tempo della narrazione, in un unico flusso emotivo, intenso e fortemente evocativo. E tutto questo è avvenuto in maniera progressiva e naturale, “sul campo”, grazie all'osservazione attenta dei luoghi e calandoci progressivamente nella realtà, nella luce, nei colori e nel movimento della città.4. In questa che alcuni nostri giurati hanno definito "sinfonia documentario" abbiamo intravisto i Lumière, De Oliveira ovviamente, ma anche Wenders ed echi Pessoani (nelle atmosfere sospese più che altro). Ci sbagliamo? Quali sono i tuoi riferimenti cinematografici e letterari?
Più che una “sinfonia documentario” ( che mi sembra comunque molto calzante come definizione) ho scelto la notazione di '“Adagio” perché questo documentario unisce in maniera ideale e in un unica notazione il più armonica e poetica possibile, il flusso delle immagini e delle parole . “Adagio Portoghese” è anche un invito a riscoprire la lentezza del guardare, il giusto tempo dell'osservare, per non fermarsi in superficie ed immergersi nella densità e nelle sfaccettature che hanno le cose, i luoghi, nella poesia del reale appunto. Per ultimo e non di minore importanza è un omaggio sincero e sentito al Portogallo e al suo bellissimo popolo, una terra che è divenuta per me negli anni una vera e propria seconda “casa” ed una fonte di ispirazione inesauribile sin dal 2000 quando girai uno dei miei primi cortometraggi a Lisbona.Tornando a De Oliveira, quello che mi ha affascinato nel suo film è quel suo sguardo “puro” sulla sua città; un modo di fare cinema ancora libero e dalla natura “disinteressata”, legato ancora ad una concezione di cinema come opera d'arte. Anche i Lumiere sono stati certamente un riferimento per questo film, in quel modo pioneristico di porsi di fronte alle “apparizioni” delle immagini; quella concretezza di piazzare la macchina da presa per poi “registrare” quello che accade ( ed è quello che in parte abbiamo fatto girando dentro e nei luoghi della città ). A Pessoa non ho pensato anche se è un autore che conosco molto bene e verso il quale sto tornando con l'idea di dedicargli un nuovo progetto. Wenders non è un riferimento diretto per questo film. Solo per coincidenza la storia raccontata da Wenders in Lisbon Story a Lisbona incontra “Manuel De Oliveira” l'idea di tornare a fare un cinema in un senso “pioneristico”. Né tantomeno è mi è stato di ispirazione per questo film. Certo, conosco molto bene e apprezzo il cinema di Wenders, ma quello che mi ha portato a fare Adagio Portoghese è stata solo la scoperta di Oporto e di come De Oliveira l'ha raccontata. Il parallelismo è lecito ma non è nelle intenzioni del film.
E ancora il muoversi verso qualcosa o qualcuno sovrapposti allo stare fermi.
Un finito che in tante scene parla di infinito
Il grande…sovrapposto all piccolo
Un aspetto pittorico, ricercato ed elegante
Tante immagini diventano quadri…alcune si sovrappongono ad essi.
Il documentario come un “modo” di guardare… in questo caso…un modo molto poetico.
Accompagna la narrazione un testo breve, intenso che non toglie potenza al racconto per immagini.
“Fermare l’immagine dentro un tempo”…dice la voce narrante... ed è quello che "Adagio Portoghese" ha fatto! (Anna Troiano)
A differenza di ciò che è per un pittore dove ciò che conta è l'opera artistca e non l'oggetto della sua opera, il film mostra un rispetto totale e quasi mistico per" l'oggetto", vale a dire per le immagini, le quali sono già di per sé una realtà e un racconto. Per gli interrogativi che pone, attraverso le parole in voice over, mi ha ricordato Lisbon Story di Wim Wenders (Manuela Boccanera)
Una sinfonia documentaria più che documentario in senso stretto, in bilico sulla natura "binaria" osservazionale/narrativa, ci consente una doppia immersione cinematografica: nella storia del cinema (i Lumiere e De Oliveira, ma anche, in qualche modo, Wenders) e nella teoria cinematografica. Che cosa è il cinema? Si chiedeva Bazin... Questo documentario non dà risposte esplicite ma, in un certo senso, ci mostra un elemento fondamentale dell'arte cinematografica, il movimento. Dimenticavo, in più punti riesce ad essere emozionante con semplicità. Pensato bene e realizzato meglio. (Vincenzo Totaro)
Commenti
Posta un commento