Eigenbrötler - Antonio Universi

 


Eigenbrötler significa grossomodo, "colui che si fa il pane da solo". Si tratta dell'appellativo dato a Theo, un insegnante e politico originario della Svizzera tedesca, che decide di cambiare vita lasciando tutto, famiglia compresa, per ritirarsi a vivere in solitudine in una casa di campagna nelle valli della Svizzera italiana. Questo documentario nasce dall'incontro tra il regista Antonio Universi e il protagonista della vicenda, Theo appunto.
Il cinema documentario di Antonio Universi si fa notare per una cura estetica certosina che deriva dalla sua attività principale (quella di direttore della fotografia), e per un approccio "umano troppo umano" in cui l'elemento della crisi e successiva ricerca dell'equilibrio interiore è un passaggio fondamentale per trovare con coraggio il proprio posto nel mondo, la propria collocazione, e per comprendere il mondo stesso da una prospettiva più personale. Non si può vivere troppo a lungo lontani da se stessi; il concetto, alla fine della visione, risulta tanto chiaro quanto poco "strillato". Lo stile registico è piuttosto sobrio, la macchina da presa si muove con rispetto (e forse anche un po' di pudore) negli spazi privati del protagonista, tra gli oggetti che arrivano dalla sua vita precedente e quelli di nuova costruzione il risultato è un piccolo gioiellino nel quale la ricerca estetica si fonda perfettamente con uno studio approfondito sull'animo umano (uno studio ovviamente di natura umanistica e non scientifica). Il montaggio ha seguito una strada coraggiosa in alcuni passaggi, dove la scelta era tra il concedersi alla facile spettacolarizzazione aprendosi alla possibilità di acchiappare qualche spettatore in più, oppure adeguarsi all'aspetto umano che scaturiva volta per volta; Universi ha scelto questa seconda opzione e, a nostro avviso, ha fatto la scelta giusta. A quanto pare però non è soltanto una nostra opinione, considerato che il documentario sta partecipando a diversi festival in giro per il mondo raccogliendo apprezzamenti, selezioni e premi (l'ultimo in ordine di tempo è la vittoria al Cult Critic Movie Award 2021, nella sezione debut filmaker).

Anche se ne abbiamo fatto cenno, cominciamo con una breve sinossi.

Esistono un tempo, un luogo e un'età in cui (ri)cominciare a essere se stessi?
Oggi Theo Keller è un pensionato. Dieci anni fa ha lasciato Berna per vivere in Ticino, un luogo più affine alla sua anima, dove ha imparato a scolpire il legno e a realizzare magnifici cavalli a dondolo.
Il documentario racconta la costruzione di quattro di questi cavalli, che Theo vuole donare al Museo del cavallo-giocattolo di Como, a patto che non vengano relegati dietro una vetrina, ma restino fruibili per i visitatori piccoli e grandi.
E saranno gli ultimi della sua lunga produzione: realizzarli, adesso, gli costa troppa fatica.
Assistiamo, così, alle varie fasi della costruzione e, allo stesso tempo, ripercorriamo a ritroso le tappe della sua vita, le convinzioni giovanili, la contestazione, l’amara constatazione di come certi ideali siano difficili da conciliare con la realtà.

 
Abbiamo avuto il piacere di incontrare l'autore per discutere del suo documentario.

1. Eigenbrötler è il tuo primo documentario realizzato in completa autonomia. Di solito ti occupi di direzione della fotografia. Quali sono state le differenze sostanziali tra il lavoro di set e quello praticamente in solitaria del documentario? Quali i pregi e i difetti delle due modalità e cosa preferisci di più se c'è qualcosa che prediligi?

Risalendo il corso delle tue domande direi che prediligo occuparmi di direzione della fotografia, innanzitutto per la possibilità di concentrarmi sul controllo di un unico aspetto, in secondo luogo perché adoro la vita del set, e infine perché trovo molto più stimolante portare alla luce le immagini mentali del regista, grazie alle contaminazioni creative e corali delle persone che girano attorno a un racconto cinematografico.

Lavorare in solitaria è molto più faticoso, non solo, ovviamente, da un punto di vista fisico e organizzativo, ma soprattutto emozionale: mostrare al pubblico ciò che hai filmato, illuminato e montato personalmente è un’esperienza che posso paragonare a un nudo emotivo, anzi di più, è come se lo spettatore in quel momento fosse, senza filtri, nei tuoi occhi, nel tuo cervello, nella tua anima.


2. Il tuo lavoro certosino sulla fotografia che è possibile ammirare in Eigenbrötler arriva da lontano, da venti anni circa di progetti fotografici e cinematografici in cui hai avuto occasione di “capire la luce”. Ecco, vorremmo sapere cosa hai capito della luce, cosa è per te e quanto peso ha in una storia raccontata per il cinema.

La luce aiuta lo spettatore a comprendere il senso della scena, ma non lo determina da sola perché la fotografia cinematografica si sostanzia anche delle inquadrature e dei movimenti di macchina.

Ma è la luce a rendere possibile l’atto di compenetrazione tra quello che l’occhio dello spettatore vede, ciò che la sua anima percepisce e ciò che il regista vuole velare o comunicare.

Per me la luce e il suo necessario opposto, la mancanza di luce, sono come due facce dell’infinta stoffa che avvolge le nostre esistenze, e chi racconta per immagini le storie di queste esistenze ne utilizza le pieghe e i ritagli.


3. Eigenbrötler significa “colui che si fa il pane da solo”. La storia di Theo è piuttosto affascinante e se non sbaglio si può riassumere nel “tentativo, probabilmente riuscito, di muoversi nel proprio elemento, trovare un equilibrio interiore e la propria vocazione esistenziale, lasciandosi alle spalle una vita che aveva delle criticità esistenziali evidenti”. Concordi con questa interpretazione?

Concordo perfettamente, nel caso di Theo c’è voluto un terremoto esistenziale affinché potesse acquisirne la consapevolezza.


4.Anche i lavori ai quali stai lavorando in questo periodo hanno qualche vicinanza con questa temperie esistenziale. Sei d'accordo? Quanto di te c'è (anche tu, in un certo senso, sei uno che si fa il pane da solo) nelle storie vere che porti sul grande schermo?

Credo che chiunque decida di mostrare qualcosa che ha creato inevitabilmente mostri qualcosa di sé.

Mi interessano le storie di persone che, in una maniera o nell’altra, cercano, magari trovandolo, il loro posto nel mondo o il senso della loro esistenza.

Come ho detto prima, è qualcosa di molto intimo, l’esigenza che a un certo punto della vita diventa insopprimibile e, protetta dal racconto delle vite di altri, ti permette di mostrare la tua essenza.

Non riesco a immaginare niente di più personale.


5. Raccontaci il tuo rapporto con Theo e magari qualche aneddoto.

Con Theo è scattata subito la fiducia: è una persona fantastica, con una visione umoristica della vita che trovo irresistibile. Mi ha affidato la sua storia e naturalmente mi preoccupavo di trattarla col dovuto rispetto. Alla fine è stato molto contento di ciò che abbiamo fatto insieme.

Ci sentiamo di tanto in tanto, lo tengo aggiornato sul percorso che il nostro lavoro fa in giro per il mondo.


6. Raccontaci che accoglienza sta avendo il lavoro. Sappiamo che hai raccolto diverse selezioni ufficiali e premi in giro per il mondo. Sappiamo anche che le proiezioni cinematografiche nella Svizzera italiana hanno raccolto convinti apprezzamenti.

L’unica proiezione al cinema, che c’è stata prima delle chiusure causate dalla pandemia, è stata emozionante e ha registrato il tutto esaurito. Mi piacerebbe che il film trovasse una sua strada distributiva ma, purtroppo, i documentari “character driven” sono di difficile collocazione.


Per il momento il lavoro è stato selezionato in vari festival, ha vinto come migliore opera prima al Cult Critic Movie Awards, in India, ed è stato nominato miglior documentario di genere a The Monkey Bread Tree Film Awards in Inghilterra.

 7. Con quali strumenti lavori di solito?

Utilizzo strumentazione discreta ma performante. Per Eingenbrötler ho usato una Lumix Gh4 e una Blackmagic Pocket Cinema con ottiche fisse molto luminose equivalenti a 35 mm.

Mentre per le luci ho fatto mia la lezione del grande Luca Bigazzi, (col quale ho avuto l’onore di chiacchierare) e quando posso sostituisco le luci presenti negli interni con delle mie lampadine, e cerco il più possibile di sfruttare l’illuminazione che mi fornisce l’ambiente dove andrò a girare. Mentre per l’audio uso direzionali Tascam e radiomicrofoni Rode.


8. Ci racconti, se puoi, a cosa stai lavorando?

Sto effettuando contemporaneamente le riprese di due storie: una donna che si è reinventata dopo aver cambiato continente, e un giovane uomo che tenta di salvare una razza autoctona di cavalli dall’esclusivo allevamento per la macellazione; nel mentre ho curato la fotografia di un corto che è in fase di post produzione.

Ringraziamo Antonio per la piacevole chiacchierata e vi lasciamo con un piccolo estratto del documnetario. Buona visione! 



 

 

 

 

 

 

 

 

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